Notizie Radicali
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  mercoledě 07 giugno 2006
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Negli assolutismi accade

di Luigi Castaldi

Il cardinal Carlo Caffarra torna sul tema del matrimonio che è un po’ il suo chiodo fisso – chi di noi non ha il suo chiodo fisso? – e scrive: Non assimileremo mai abbastanza la grande dottrina cristiana del matrimonio e della famiglia”, lo scrive nel chiudere un suo lungo discorso (26.779 battute, spazi inclusi), tenuto il 30 maggio a San Pietro in Casale (Bologna). Lo spunto: “Il 18 gennaio 2006 con 468 voti a favore, 149 contrari e 41 astenuti il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che invita ad equiparare le coppie omosessuali a quelle tra uomo e donna e condanna come omofobici gli Stati e le Nazioni che si oppongono al riconoscimento delle coppie gay. Che cosa sta accadendo nella nostra civiltĂ  occidentale? Che cosa stiamo rischiando?”. Come ha giĂ  fatto in altre occasioni, Caffarra propone “la grande dottrina cristiana del matrimonio e della famiglia”  come soluzione unica, per credenti e non credenti, sulla base di un suo primato economicista: “L’idea di fondo, la tesi che sostengo, è la seguente: tra le diverse forme di vita sociale e i diversi stili di vita personale lo Stato deve privilegiare e favorire quelli che creano e custodiscono valori sociali o ‘capitali sociali’, a preferenza di quelle forme e stili di vita che non li costituiscono o li usurano”; “la grande dottrina cristiana del matrimonio e della famiglia” sarebbe lo schema di uno stile di vita massimamente produttore di “capitali sociali”. PerchĂ© i legislatori assisi nel Parlamento Europeo non recepiscono la ratio che rende conveniente il magistero morale e sociale della Chiesa? “Donde ricavano la loro capacitĂ  di definire che cosa è la famiglia? Si limitano a trascrivere ciò che la maggioranza dei cittadini pensa? E la maggioranza donde trae le sue conoscenze?”

Potremmo porre le domande di Caffarra in altro modo, tutte in una: la ratio che informa una morale tende  solitamente (o dovrebbe tendere) alla convenienza? E, allora, a chi spetta dire cosa sia conveniente, e cosa no? Caffarra concede che “i legislatori sono ovviamente uomini come noi”. Dunque: a chi spetta fissare il fine ultimo di un ordinamento legislativo nella massima produzione di “capitali sociali”? In altri termini: chi deve fissare (qualitativamente) il valore di “capitale sociale”? E’ un valore fissato a priori? Se sì, vuol dire che anche tutto ciò che attiene al sociale riposa in valori fissati a priori. Ma questi valori sono tali da doversi necessariamente incardinare nella dottrina morale e sociale della Chiesa? La risposta può essere positiva solo se si assume come dimostrata un’affermazione di Caffarra, che cioè “esist[a] una forma di famiglia che nella sua sostanza è radicata nella natura della persona umana e che pertanto va custodita di generazione in generazione”. L’affermazione implicherebbe un valore assoluto – di lĂ  dallo spazio e dal tempo – di un modello antropologico: si può dimostrarla solo sull’asserzione che l’assoluto sia razionale, si può imporla nelle forme della legislazione solo sull’asserzione che l’individuo debba piegarsi all’assoluto. Ma individuo e assoluto nascono da matrice culturale consimile? Lasciamo da parte quest’ultima domanda, ci porterebbe lontano e ne arriveremmo a capo solo sull’asserzione del principio trascendente. GiĂ , il principio trascendente. E’ dimostrabile, il principio trascendente? Non risulta.

Caffarra si chiede: “La legge civile come deve considerare le forme di realizzazione della sessualitĂ  umana diverse da quella matrimoniale?”. E sostiene: L’equiparazione fra convivenza omosessuale e comunitĂ  coniugale è pensabile solo partendo dall’affermazione che non esiste una modalitĂ  nel realizzare la propria sessualitĂ -affettivitĂ  che possa essere socialmente non riconosciuta, purchĂ© sia rispettata l’autonomia dei partners e la loro libertĂ ”. Questo è il punto: l’autonomia dell’individuo, nei limiti posti dall’autonomia dei suoi consimili, è ulteriormente limitabile da un valore assoluto che fissi il suo stile di vita di lĂ  dallo spazio e dal tempo? E, se sì, cosa dimostra la coincidenza del valore assoluto con “la grande dottrina cristiana del matrimonio e della famiglia”? Non si scappa: la fede in Cristo nei modi dettati dalla Chiesa cattolica. La legislazione di uno Stato deve recepire questo dettato? Se la ratio che la informa fonda sull’asserzione indimostrabile di un principio trascendente, sì. Ma l’autonomia degli individui, allora, passa in second’ordine, a meno che gli individui stessi (ma questo il punto essenziale: tutti gli individui, nessuno escluso) non abbiamo fatto proprio quel principio. Se fosse realizzato il kata olos del cattolicesimo, sarebbe cosa fatta. All’assoluto corrisponderebbe l’assolutismo, la legge dello Stato non potrebbe far altro che performarvisi.

Caffarra scrive: “La legge può configurare la comunitĂ  coniugale come una forma di comunione sessuale-affettiva cui i singoli sono liberi di accedere, ma la cui definizione non è a disposizione di chi si sposa: non può essere formulata e riformulata a piacimento. Oppure la legge può decidere, attraverso l’equiparazione di cui parlavo [i Pacs], che il matrimonio ricevuto dalla tradizione è frutto di mera convenzione sociale e che pertanto il matrimonio può essere pensato e realizzato nei modi corrispondenti ai desideri, interessi e scopi propri di ogni individuo. Il risultato della seconda scelta giuridica non sarĂ  a lungo termine che nell’ethos e nella ragione pubblica matrimonio ed altre forme di convivenze avranno la stessa stima e riconoscimento?”. Se non si accetta il principio trascendente – e si potrĂ  pure non accettarlo, si spera – perchĂ© no? Quasi avesse sentito l’obiezione, Caffarra ribatte: “La mia tesi è che l’equiparazione costituisce una rinuncia a questa difesa, e quindi una abdicazione alla promozione del bene umano comune”. Il fatto è che il “bene umano comune” non può sacrificare il bene umano individuale. Ma negli assolutismi accade.